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       Politico e Poeta d'altri tempi  | 
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      Le
      battaglie contro gli amministratori locali erano combattute senza sosta.
       
      
 
      
      
      
      Chi governava era accusato di «doppiogiuochismo», perché, prima delle
      consultazioni amministrative, presentava programmi allettanti sul piano
      delle riforme sociali. Programmi poi disattesi, una volta conquistato il
      Comune, in ossequio al «protezionismo clientelistico». Il PSI, tra le
      altre cose, chiedeva «il risanamento delle finanze comunali; l’equa
      ripartizione degli oneri fiscali… al fine di far gravare il peso delle
      imposte sulla vera ricchezza, e di esonerare o alleggerire, nella maggiore
      misura possibile, i redditi minimi degli artigiani, dei piccoli
      commercianti, dei piccoli e medi agricoltori, degli esercenti, degli
      impiegati di tutte le categorie che vivono del proprio lavoro». E ancora:
      
      «la lotta ai tuguri, l’incremento dell’edilizia popolare ed il
      risanamento dei fabbricati e dei claustri…; il riordino e la
      sistemazione degli edifici scolastici esistenti, con l’impianto
      definitivo dei termosifoni; la costruzione di un nuovo edificio con
      l’incremento dell’Asilo Infantile, l’effettivo funzionamento del
      Patronato Scolastico e della Refezione; la creazione del dispensario
      antitubercolare e della farmacia popolare; l’estensione ed il
      miglioramento delle forniture d’acqua, delle fognature e dell’energia
      elettrica; un migliore e più sollecito funzionamento degli organi
      assistenziali; l’assegnazione dei terreni demaniali ai contadini poveri.» 
  
      
      «Come
      il nonno, come il padre, anche i figli devono vivere là in campagna,
      curvi alla terra.» E sul mancato accesso all’istruzione aveva scritto:
      «La mancanza assoluta dell’ambiente scolastico spinge qualche ragazzo
      di buona volontà a disertare l’aula, nonché il docente, che non è
      tenuto all’eroismo! Si pensi che in comuni di circa 9000 anime, come
      Grassano, manca un edificio scolastico. Insegnanti ed alunni di mala
      voglia sono costretti ad abitare stamberghe o, se si vuole essere larghi,
      stalle ripulite di vecchi conventi e di case cadenti. Eppure i milioni ci
      sono! Ma ci sono per creare organismi politici ed enti pseudoautonomi che
      nascondono gli intrighi più lerci e gli interessi più sfacciati di
      appaltatori e di costruttori… Ci sono dunque i milioni ed allora è
      tutta una congiura contro la povera gente, contro i figli del popolo, i
      quali devono restare analfabeti, tonti, perché sia più facile tenerli
      schiavi e non permetter loro avanzare pretese di giustizia e libertà.» 
 E’ qui che il conservatorismo feudale, negatore di civiltà e di benessere, non permette che il socialismo entri, e attenta alla vita fisica di chi osa sventolare la bandiera rossa. E’ qui, come a San Giorgio, che le sedi socialista e comunista vengono assalite di continuo dal popolo aizzato dagli agrari…»  
      Attraversando
      quelle remote contrade, incontrò gli uomini che avevano conosciuto Canio
      Musacchio, indimenticabile  «apostolo del socialismo meridionale». Ad
      Irsina, ad esempio, dove migliaia di contadini ascoltarono il Prof. Dino
      De Lucia e la sua oratoria coinvolgente. Di Canio Musacchio, qualche tempo
      dopo, scrisse:   «Al popolo oppresso, schiavo, parlò il linguaggio della
      nuova umanità, della vera fratellanza, dei diritti del lavoratore, del
      progresso e della libertà morale ed economica. E lo vidi, il piccolo uomo
      di Gravina, perseguitato, incarcerato, malmenato, fare a piedi la strada
      polverosa, nuovo pellegrino del socialismo italiano, entrare nei campi,
      affiancarsi al ricurvo contadino, bere alla stessa brocca, stringere la
      stessa marra, dormire nelle stesse tane, lieto e sorridente penetrare
      l’intelligenza e il cuore dei buoni montanari che nel chiuso delle
      grotte per sfuggire alle ire dei ‘galantuomini’ feudali, pendevano dal
      suo labbro. 
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      A
      mio padre 
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