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![]() Amarcord |
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Ho conosciuto il defunto Vostro padre da quando portavo i calzoni corti.
Ricordo benissimo dove abitava e conoscevo la madre, mi pare vedova di
guerra, e i fratelli, uno dei quali in Polizia (aveva anche una zia o una
sorella?).
Rivedo il Prof. Dino De Lucia, prima come ex seminarista. Poi come
universitario ed infine, dopo la guerra, come fervente socialista amico
di Vittore e Tommaso Fiore.
Ebbi con lui diversi ed ottimi rapporti personali, sia come Consigliere
Comunale (sebbene io fossi di opposizione al suo partito), sia come
giornalista, sia come professionista.
La sua integerrima figura, alla sua scomparsa, lasciò un vuoto
incolmabile fra i socialisti locali e fra quanti ebbero la fortuna di
conoscerlo per le sue indimenticabili ed immemorabili battaglie
elettorali.
Così ricordo Vostro padre, mio ottimo amico, del quale anche se di idee
opposte, serbo un gradito ricordo.
Al piacere di conoscerVi personalmente, Vi saluto. Vincenzo
Quattromini Giornalista Pubblicista
Nei miei anni
giovanili, quelli in cui andava costruendosi la mia formazione politica
seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso ho incontrato, qui, in
città, molte volte, le parole, i gesti, gli scritti, le poesie, i
discorsi di Dino De Lucia.
Rilevo, però, scrutando i fotogrammi della mia memoria, che, diversamente
da tanti altri miei coetanei, non ne ebbi assidua frequentazione. Seguivo,
e me ne invaghivo, da liceale, il PCI di Luigi Longo e, poi, di Enrico
Berlinguer. E nei primi anni Settanta fu Tommaso Clemente che mi «catturò»
e fu Armando Padrone che, quasi paternamente, quasi quotidianamente, con
me volle interloquire, riempiendomi delle sue preziosità illuministiche. Ciò
non di meno, a Dino De Lucia mi riconducono alcuni frammenti dei miei
ricordi. Ne riporto solo due. Il primo: forse era il ’68 o il ’70
dell’altro secolo. Ero in piazza per ascoltare un comizio di Alfredo
Reichlin. Avrebbe parlato dopo che Dino De Lucia terminava il Suo.
Ascoltai con attenzione, anche quella volta, il Professore socialista.
Rammento le sue parole conclusive di quella manifestazione, pare a me come
fosse ieri: «Noi
scegliamo l’Occidente, la Democrazia, il Socialismo». Quelle
parole le mandai a memoria, spesso le ho gridate dal palco in tante piazze
della Murgia.
L’altro ricordo: era l’83 o l’85 o l’87 del secolo passato. Non so
bene. So per certo, però, che in Piazza Duomo, in un Comizio
affollatissimo, da candidato sempiterno, concludevo la centesima mia
campagna elettorale. La gente che mi ascoltava, ancora una volta,
s’infiammò. Il comizio finì. Scesi dal palco. Mi si strinsero addosso
in tanti: chi per afferrare una mia mano, chi per abbracciarmi, molti per
baciarmi.
Sono andato costruendomi una convinzione, giorno dopo giorno, in circa
quarant’anni di impegno civile. Un
uomo che ha fatto politica viene finalmente giudicato, e spesso,
apprezzato, solo dopo la sua scomparsa. In
vita, magari, ricevette insulti, alcune infamie. Andatosene, poi, per
sempre, viene rimpianto. E’ accaduto per De Gasperi e Nenni e Berlinguer
e La Malfa e Malagodi; e per Moro e per la Jotti; per il senatore Genco e
per Tommaso Clemente. E per Dino De Lucia. Prof.
Fabio Perinei Già Sindaco di Altamura e Parlamentare della Murgia pag. 4 di 8
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A
mio padre
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